antonella doria
ANTONELLA DORIA - MILLANTANNI (EDIZIONI DEL VERRI, 2015)
“Millantanni” di Antonella Doria è una trilogia composta da due parti già apparse autonomamente, “medi terraneo” nel 2005, “Metro Pòlis” nel 2008, e da un’ultima inedita composta nell’arco degli anni duemila. Doria, siciliana d’origine e da tempo residente e attiva a Milano, rappresenta un esempio compiuto dell’esito poetico definibile come strategia linguistica atta al recupero delle radici “sensitive” della lingua stessa (e delle lingue). Una origine filologica composta dalla visibilità dei versi a sintagma costituiti da passaggi e ritmi di una fonetica visiva dove figure retoriche si svuotano dall’insidia della persuasione ad effetto e puntano invece a trame consonantiche e a soluzioni strofiche turbate e turbanti, ma sulla nitidezza dell’esito razionale e riconoscibile. D’altra parte l’autrice, da sempre, vive l’impegno letterario come inerente ai fini e ai compiti delle discipline sociali. La lettura è qui acquisizione di un flusso, accompagnamento di un’onda sillabica echeggiante note cromatiche sempre calibrate; niente cede al tempo sparso una identità di stimoli. Un’architettura del verso dove le sillabe conclusive, a volte in successione d’assonanze, sintetizzano nel simbolo espresso il respiro intuibile della meditazione. Nella prima sezione, il “mare nostrum” diventa coagulo di etnie e idiomi che si accavallano e incrociano a costruire una storia che si dice e ci dice tutta l’inesorabile sofferenza del sentirsi alla deriva. Il “mare di febbre” parla e porta il segno inciso nella terra e nelle pietre. L’elemento geologico si fa base su cui trovare l’appiglio possibile per condividere una concretezza fisica capace di ricucire, almeno nella presenza dei versi, una diaspora apparentemente infinita, estenuata ma composta nel ribadire del naufragio il pericolo dove esso “è l’abisso”, come rivela l’esergo di Fernando Pessoa. Dove l’acqua compone il succedersi e determina la scansione umanistica del dettato frutto di uno scavo compiuto con tutta la perizia combinata dello scopritore e del restauratore. “All’orlo scuro/della notte...” vedi “Campo/di sensi squarciati”... la ricerca è essa stessa anima e labirinto, memoria e miraggio; “luogo primordiale del ritorno” nel quale inizio e fine coincidono perché la voce del verso suona come polifonia udibile. L’io e il tu, gli altri, sono portati dai flutti all’origine della domanda, alle “primordiali metamorfosi”. Nella seconda parte, “Metro Pòlis”, i due cardini del sistema configurano i luoghi dell’anima... Milano, la città adottiva e attuale; Palermo, ovvero l’origine, la terra madre. Ed è un andare sapiente tra le emarginazioni protagoniste di quella realtà ritenuta capitale economica, così come un fluire poi tra l’umida luce e il cedro lunare, il “balcone barocco” della Sicilia. Le parole si fanno segnali, i versi sentieri di venti e anarchie, insegne e ipogei. Anche il detto e l’interrotto, quasi il grido, avevano avuto parte nel quadro di una successione di ferite e tagli, espressioni udibili ad effetto verbale, in una genealogia di termini ad elenco di allitterazioni .L’attenzione estrema al linguaggio si riconferma anche nell’ultima parte, aperta non a caso da un esergo di Antonio Pizzuto, lo scrittore siciliano che con “Giunte e virgole” ha raggiunto un apice di poiesi letteraria tale da concretizzare una prosa creativa tra le più ardite, in assoluto, del Novecento. Qui si ritrova quasi l’attesa di una auspicata e prevista apocalisse, nel senso specifico della rivelazione salvifica che può essere data dalla forza e dalla musica delle parole prodotte, ma solo attraverso un accidentato percorso segnato dalle indignazioni civili. C’è in tutta l’opera poetica di Antonella Doria una ricerca inesausta e sempre in atto di un concetto di maternità che sia potenzialità generativa di vocazione testuale divenuta forma compiuta nell’equilibrio dell’esito.