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giuseppe rosato

Giuseppe Rosato "Il buio, la neve" (Book Editore, 2017)
 
   
C’è un indizio di dialogo che sa di   neve e inverni sospesi, in una parabola di riflessione sentita e trafitta dai   punti di contatto del dolore. E’ lo scenario in cui appare “Il buio, la   neve”, testo poetico di Giuseppe Rosato. L’autore veleggia su increspate   memorie nelle quali l’epicentro della sensazione si traduce in possibilità   icastica, in una compattezza strofica molto controllata e calibrata. Gli   elementi si caratterizzano nella grazia di un tenue percepire le attese   levigate dai refoli di suggestioni intime, dal sapore anticipante: “dicevi   guarda come già si oscura/ il pomeriggio d’autunno...”; deterge il solco la   puntuale illuminazione dei reticoli umbratili, liminari, selezionati   attraverso un comprendere le effettive sonorità dei tratti, la meticolosa   malinconia delle illusioni che si trasformano in posture rassegnate dove si   percepisce che “tutto il freddo è dei morti in quest’autunno/ che già   settembre apriva/ con i suoi giorni chiusi dalla nebbia”. Il tema del lutto   combina con le vibrazioni sensitive l’attenzione inudibile ai recessi delle   energie primarie, alla trasformata anabasi che impone umiltà e quella mitezza   esprimente elezione. Nella seconda parte del libro, emerge una soffusa   possibilità di sentimento aperto a sentori gravidi di tregue e luci, mattini   che si aprono ad amori ridisegnati cauti, desiderosi di una permanenza diurna   e cromatica. Le foschie abissali insistono però a coniugare valenze   interroganti, nel computo ostinato delle ferite, anticipando una dialettica   lontananza dai medicamenti. Un’attenzione profonda consente la possibilità   della pacata deriva che ha già assorbito i traumi e gli strazi, facendosi   quieta, interiore. Giuseppe Rosato ci propone una traccia impressa nel   terreno innevato; conduce l’espressione evoluta in un suggerito tenore   emotivo che acquisisce note ammissibili tra compatibilità e fratture.   L’allitterazione è prudente, teme innescate accelerazioni che il paesaggio   intimo dolente non può o non può più concedersi; attraverso rinvii e   trasparenze, tremori e avvistamenti. C’è nel testo un impostare versi che   affrontano il tema forte del commiato, la domanda inquieta sul destino   ultimo, l’attesa che non nasconde una speranza nella quale “potremmo anche   noi/ non lasciarci respingere oltre il margine/ del giorno, restarvi   abbarbicati/ di lume in lume che assottiglia...”, mentre la voce poetica è   forse conforto ad una notte che incombe sull’uomo, profilandosi come   misterico approdo.
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