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laura pugno

LAURA PUGNO "BIANCO" (EDIZIONI NOTTETEMPO, 2016)

E’ bianco, e neve, e corpo, poi bagliore e tessitura di spazi ospitanti la fiducia e il chiarore, la pelle e i campi, la voce e il nome. Ci sono segni che abitano la stessa possibilità di scrivere il dato unico, essenziale e, nello stesso tempo, molteplice, imprevisto. “Bianco”, il libro di poesia di Laura Pugno, evidenzia la lucidità, il nitore tangibile, di uno scavo articolato nella compattezza del verso, diafano e concreto, posto al confine della diramazione che fonde gli opposti o, meglio, li confonde nella volontà di riconciliare gli elementi. Sembra che qualcosa ricominci, recuperando moti di riti antichi, fossilizzati in reperti evaporanti alla distinta conduzione della luce. Qualcosa nomina e determina, tralasciando la potenziale indipendenza del tratto. Diceva Helmholtz: “Un segno non ha bisogno di avere alcun tipo di somiglianza con ciò di cui è segno”...ma qui non parliamo di conoscenza “limitatamente” scientifica; piuttosto di materia reinterpretabile in forma altra dove l’atto visibile è testimoniato da una prima ricezione seguita da una interpretazione cauta, non imponibile ma osservante. Ci sono poi interventi che parlano di lacerazione e sangue; ferite poste al margine di un percorso testuale radicato nella fissità materica, nel vorticare contrastante di luce e ombra. “Qualcosa non vuole finire” scrive Laura Pugno; qualcosa sedimenta nel vasto contorno tratteggiato dalla luminosità di uno sfondo che compone il disegno incerto di un destino. La voce depone su neve attese come fossero aspettative lievi, assenza di rumori, una bellezza comunque ineliminabile; poi forme di disgelo che solo apparentemente possono dirsi tali. Il verso non concede sonorità suadenti; depone per una consistenza algida, distante dal punto esatto dei coinvolgimenti emotivi. Vuole condurre una prassi oggettivata tra gli screzi minerali dei residui dove la materia sembra comportare ancora il suo profilo ancestrale. C’è forse costante senso di quesito potenzialmente irrisolvibile che veleggia attraverso il glaciale tono dello smarrimento subìto alla confluenza delle osservazioni ripetute e concesse. Poi, la speranza non evocata si tramuta in stato che i sensi colgono: “adesso è bianco ma dà calore”. Dove si forgiano allora epiteti di fiati, sinoli rarefatti intinti nella cadenza linguistica che tenta svelamenti al di là di una liminare superficie. E’ comunque spesso una seconda persona singolare che emerge dai versi, suggerendo la densità accennata di un intimo dialogo.



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