maria borio
Maria Borio 
						“Trasparenza”  - Interlinea
						Edizioni, 2018
						
						L’accenno riproduttivo e
						fecondo esegue una partitura dialettica dove tesi e antitesi sono il puro e
						l’impuro. Sintesi diviene la trasparenza, forse il grande vetro del mondo
						digitale che confonde e scambia le parti. E proprio “Trasparenza” è il titolo
						del libro di poesia proposto da Maria Borio. C’è, inizialmente, un tentativo di
						fuga dalla rigidità della forma a vantaggio di una materia che si pone come
						inalienabile confronto. La struttura testuale determina una successione
						strofica a costruzione compatta, volutamente ancorata ad una tecnica dicibile estremamente
						controllata, riportata ad una geometria nitida che si sente quasi costretta a
						rendere ragione di una partitura non limitata all’univocità della
						determinazione versificante, ma tale da confidare nella ricezione consapevole
						attuata in visibilità reiterata, attraverso una orchestrazione di messe a fuoco
						su elementi correlativi. Ci si affida alla responsabilità del lettore affinché
						osservi, nella determinata volontà di attenzione, le parole idonee all’umano.
						“L’attrito sempre quando capita una coincidenza”; d’altra parte, si sa, il
						tomismo ci ha insegnato che pensiero e linguaggio, poiché sono qualcosa, sono
						nell’essere; essere e linguaggio, in quanto pensati, sono nel pensiero; essere
						e pensiero, in quanto detti, sono nel linguaggio. Operare una sintesi è anche
						sezionare l’accortezza delle differenze, natura data e tecnologia imposta. La
						scrittura segna il limite esatto che traccia il cammino percorribile nella
						dinamicità cognitiva della scelta. Un tessuto prosastico accentua l’evoluzione
						del dettato stilistico, imprime alla tersa qualità della pagina la calibratura
						parsimoniosa della comunicazione. D’altra parte, il luogo ci abita; scrive
						Maria Borio: “Eri nel punto più alto della scogliera/ nel vento del nord
						affilato, lunare”. Un caleidoscopio di frammenti intende risuonare alto, quasi
						a confessare una composta critica del virtuale, un bisogno intimo di contatto
						con le cose in atto, con gli eventi...”-siamo una finestra senza imposte,/ il
						vetro su cui le storie aderiscono-“. Il procedimento logico, a volte, introduce
						sinapsi tra ambientazioni concettuali differenti, appellandosi ad una
						intenzione suggerita di oltrepassare la visibilità costituente l’accessibile,
						in uno struggente diramarsi filtrato; “Ma adesso alberi è una parola irreale” e
						molto sfugge alla gradualità della proposta, alla difficoltà del partecipare, a
						quella condizione che, per dirla con William Gaddis, porta all’agonia
						dell’agape. Le imperfezioni sono tagli esistenziali nella continuità di un
						confronto di elementi tra purezze e impurità, nella vocazione che si fa opzione
						di recupero in memoria di dialoghi perduti. Diafano il profilo femminile che
						dirime assunzioni materne nella vulnerabilità delle trasformazioni ancorate, da
						ipotesi di abbandono che funestano il dettato tecnologico quale motore acefalo,
						caravanserraglio sterile. Ma la risposta è nell’eco di tracce dove la parola
						conduce alla storia; ed allora sembra davvero che “luci/ magre ed elettriche”
						occhieggino Govoni, e le modalità trasparenti, Stevens. Maria Borio ci avverte:
						“Hai il petto spaccato, scrittura e lavoro/ sono immagini: l’acqua si apre a
						cerchi/ come il cadere continuo/ degli occhi sulla fontana...” poi, tratteremo
						altra modalità connotativa, diversa applicazione in lessico, rivolta poetica
						nei confronti di un’incombente assuefazione alla passività dei contenuti,
						mentre “ci siamo persi di notte su questa riva,/ le luci oscillano sopra le
						spalle”.
						
						 
 
