massimo scrignoli
Massimo Scrignòli  “Lupa a Gennaio”  (Book Editore, 2019)
						
						E’ René Char ad aprire il tracciato in epigrafe di un
						suono che accosta amore e poesia. Nuova stagione è poi davvero quella che
						Massimo Scrignòli inaugura con un volume di prose poetiche temperate dalla robustezza
						dell’afflato metafisico, “Lupa a Gennaio”. Muove il testo, deflagra
						l’improvviso; domina l’assenso un indicibile riemerso quasi fosse un libro
						dell’inquietudine. Anche noi, così, scendiamo in apparente rilascio, là dove
						frammenti di tuono aprono scenari di amori inattesi, perturbanti. Da subito
						risuonano, nei testi di Scrignòli, i rimandi agli autori frequentati e
						interpretati: Char e Pound, Celan e Kafka, ma anche Dante. Le tracce notturne
						sono enucleate quasi a ridosso di una prosa in brevi quadri sospesa,
						raffigurata in intagli di raffinatissima perizia. Che conforto, a fronte di una
						miriade di proposte vacillanti e anoressiche catalogate come estri del
						dicibile, scorrere una traccia letteraria fieramente capace di dirsi
						concettuale, profonda ma mai oscura, filosofica, propriamente ontologica. Gli
						elementi materici, le cose, gli enti accolgono il lettore in una purezza
						d’intendimenti che non può però escludere la precisa consapevolezza che
						l’essere dell’ente non è un altro ente. “L’eclissi ha qualche cosa che riguarda
						il bosco: è l’ingresso docile degli occhi nella neve oscura”; riguarda il
						nostro senso estremo per la sensualità degli elementi, la percettibilità delle
						variazioni e degli indugi. Una fisicità astratta ricompone il divenire
						interpretabile non contraddittorio ma problematico; così come problema è il
						mutare all’interno di un’esattezza nominata in quanto colore che si fa nome. Un
						infrascritto ereo, quasi contenitore arcaico sprigionante domande abissali e
						ansiti costieri. E ancora la tonalità cromatica del blu si accosta ad ombre e
						presenze “là dove il cielo non è più cielo”, e così la parola sa discernere nel
						non morire. Il depistaggio è complice, l’erranza fattuale attraverso la
						duplicità del testimone, sensibile scolta di uno svago adulto, di una
						consistenza intellettuale. Massimo Scrignòli proviene da linee del fuoco e
						libri d’acqua; osa la dicitura compatta del brano che nella visibilità breve
						distende lo spazio adeguato della prosa d’arte, della nominale intenzione
						diretta al nucleo fondante del reale. Le acque della Senna, nelle quali Paul
						Celan si gettò in una notte d’aprile del 1970, assumono il senso sacrale del
						sacrificio devastante; si fanno, appunto, “ammutolite” ma, nello stesso tempo,
						ritornanti, le stesse “per concessione suprema di Eraclito”. Indicibile
						l’afflato panico riemergente dai vessilli di ciò che non deturpa il ripetibile,
						l’avamposto decifrato dal lessico ermeneutico. L’evento e il rimedio
						significano le cose. Davvero ritroviamo nell’opera di Massimo Scrignòli ciò che
						disse in passato lo stesso Char: “Possiamo vivere solo sul semiaperto,
						esattamente sulla linea ermetica di spartizione tra l’ombra e la luce. Ma siamo
						irresistibilmente proiettati in avanti”.