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C'E' MODO E MODO DI SPARIRE DI NINA CASSIAN (Adelphi, 2013)

C'è molto di "sensibile", per quanto si possa declinare tale termine, nel volume antologico "C'è modo e modo di sparire" (Adelphi, 2013), ampio orizzonte della produzione poetica di Nina Cassian , autrice romena, dal 1985 residente negli Stati Uniti. Il fruire asciutto dei moti della carne compone l'incipit del rimanere, comunque, ad un passo dal naufragio. La traccia modernista, insita nello svolgersi di una interpretazione novecentesca, include le orme dei personaggi ritratti nella commedia umana codificata nei volti così come nei codici animali e vegetali intessuti nell'apposito segno che l'autrice condensa oltre la versificazione tagliata ad un passo dal documento asimmetrico, vigile ma già quasi esausto, oltre l'episodio epico della difficoltà quotidiana. Il tracciato cronologico è molto ampio, ospitando poesie scritte dal 1945 al 2007. Il romeno ma anche l'inglese sono colonne linguistiche portanti dell'impalcatura che detiene in sé il tono concreto del corporale, la seduzione sensuale della musica, l'ottica cromatica della pittura. Il modo indicativo rimescola l'apparato espressivo in dote ad una sensibilità mai arresa al previsto, reinterpretata attraverso un processo " ossimorico" esprimibile nel crudo dato, antistante l'urbano consiglio che interroga le pene d'amore come la forza di seduzione quasi erotica del verso "avvertirai la gravità pungerti"... sarà, per la voce di Nina Cassian, anche un senso di complicità con ciò che aggressivo e incongruo isola e separa, non riconosce e alterna tentativi di grazia a esclusioni disadorne. C'è una traccia di rosso che diviene filo conduttore, subitaneo spessore accolto; come l'appello variegato insinua e si scontra con il muso duro e ferroso dei confini e dei gemiti trasformati, però, in versi. Una poesia rara, lontana da ogni rischio di ciò che il "femminile" a volte incontra quando intende evocare identità di genere; qui il tono riesce ad essere solo "umano", integralmente parlando, quindi di per sé ibrido, androgino. Il verso taglia la condensata aspirazione della pagina rendendola terra arabile, nudità abitabile senza imbarazzi né esitazioni. Lo spessore etico si assolve intendendosi altro rispetto alla qualifica dei tempi, all'operosità del diurno osservare "una sigaretta più bianca della luna" all'interno di una notte che la partitura espressiva descrive nel tattile contorno consonantico. "Rosso da rosso, rosso al rosso/ rotea lo spettro elevato" e il connubio non concede diaframma ostativo ma evolve verso una responsabilità indotta. Il solco geometrico e visivo incombe: "Sto su un tetto obliquo di lamiera verde" e l'epicentro del dettato fonde confidenza e annuncio, ritorno e assenza, solitudine e incontro. Il sorriso del vino è aureo, il canto della perdizione vellutato; l'istante acquisisce il rigore nordico dell'incisione, l'enigma che aleggia in certi componimenti che hanno forse avuto, pur con altra tecnica, Paul Celan come miglior fabbro. L'intarsio amaro di una separatezza enunciata e portata a riprova di una  forza interiore lancia la difesa del dire, energica e discorsiva, narrabile nella sua natura di riflessione non ultimata, non definitiva, piuttosto sospesa, incerta sull'abbandonare del tutto la possibile opzione silente, maturando anche la stessa vena critica nei confronti del tema politico, delle dittature, in un auspicio di rigore civile inusuale rispetto ai canoni prevedibili. E d'inusuale anche l'uso, particolarissimo, della lingua "spargana" di sua invenzione, finalizzata a evocare sonorità trasmutabili in varie realtà linguistiche.



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