renata morresi
Renata Morresi
“Terzo paesaggio” (Nino Aragno
Editore, 2019)
“da un nulla di torba, argon, catrame/ canta me, besame mucho,
diastema/.../ il nulla che muovo como si fuera/ esta noche/ la/ voz”... come
suono in plurilinguismo asimmetrico, come inserzione di sintagmi in apertura, i
rimandi evidenti suonano nell’accorta tessitura del dettaglio. E’ “Terzo
paesaggio” di Renata Morresi, autrice e traduttrice di letteratura
anglo-americana. Quel paesaggio terzo che corrisponde a tutti quei luoghi
abbandonati dall’uomo, intende porsi a scenario di scomposto approdo per
obliqui e ironici affondi. Uno dei primi temi trattati, essendo l’autrice di
Recanati, è il dramma del terremoto che nel 2016 ha colpito le Marche. Renata
Morresi intende denunciare, attraverso un approccio stilistico originale, la
deriva retorica dimostrata dalla banalizzazione dei toni nel sistema dei media.
I tronconi dei versi sembrano figurare resti e relitti, geometrie abitative
divelte e nello stesso tempo, le colpevoli negligenze velate da progettualità
vendute come risolutive e salvifiche. L’amarezza destina il processo alla
sonorità allitterante contesa da una volontà attinente alla prosecuzione
narrativa, alla contrastiva opportunità di composizioni a versi ridotti in
unità sillabiche, oltre a spasimi estesi e dilatati in versi lunghi e
prosastici. Figurazioni opposte che si alternano sulla pagina. Una qualche
assonanza intercetta il flusso contenuto all’interno di un dire che contempla
duro le patologie di uno stato civile che ha perduto le sue vere prerogative;
la sindrome depressiva di un contesto generale impregnato di precarietà, deriva
economica, delirio digitale. Vi è poi una sezione, “Car wash”, dedicata alla
memoria del padre, definito dall’autrice “uomo di natura e di macchine”; il
verso qui compone adulto il tratto reiterante che designa l’articolata e
alterna posizione spaziale nella vocazione sospensiva della “solo attesa” nel
travaglio indocile de “la percezione libera”. Ci sono interventi linguistici di
particolare riproduzione elaborativa che ricordano esperienze poetiche
tecnicamente legate alla rappresentazione dei meccanismi come, solo per citarne
un esempio tra i più riusciti, “Distribuzione” di Alberto Mori, nel quale l’uso
espressivo riproduce la modalità della sigla nella sua accezione semiotica in
rigore modernistico: “ ne 1 pista aspirazione 2 pista aspira 3 s spi
azio 4 sta razion 5 pi spi ne”. L’incastro movimentato non estingue
il dolore e attende un moto la possibile consolazione ritradotta in smarrimento
fluido, la stessa diversa grandezza, a volte, dei caratteri tipografici, lo
svelante ritmo conoscitivo in potenza memorabile nella “pianura di noi espansa,
bianca/ che non viene separata dalla notte”. D’altra parte già prima, molto
prima, si erano svolte ondulazioni sussistenti che operavano riconoscimenti
istintivi e dislocati in procedure mobili, ipotizzando “le cose che vedremmo
andando in bicicletta/ sulla battigia”. Poi tutto diventa imbarazzo sillabico,
volutamente spezzato, quasi infranto, come una procedura linguistica che rivela
interruzioni inesplicabili, ingorghi indicibili, frantumati messaggi occupanti
lo spazio web. Ci salverà forse la possibilità di una pista; quella riproposta
da Franco Fortini: “Noi ci troviamo in questo momento in corsa/ in una lunghissima
curva della pista”. Renata Morresi ci parla di una vocazione intessuta di
elaborazione linguistica e abilitata a commuoversi “per quel tacere delle
cose”.