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Alessandro Quattrone "La gentilezza dell'acero" (Passigli Editori, 2018)
 

Il solco sa essere gentile; porsi quale effetto di   una realtà assimilabile, propriamente espressiva come la tonalità arborea che   insinua cadenze lontane, reminiscenze acute, destinazioni appropriate e   postume. La grazia nei profili vegetali può essere viatico accolto ben oltre   la tangibilità dei luoghi, interrompere le omissioni, favorire la percezione   di quella grazia che ci accompagna nel riverbero. "Non si può che   ammirare/ la gentilezza dell'acero,/ dell'albero che medita sospeso/ al cielo   adorando i fili d'erba": il verso interpreta l'elemento percepibile   nella dimestichezza di una fruizione inizialmente istintiva, poi sapienziale.   Ed è proprio "La gentilezza dell'acero" il titolo di questo esito   editoriale di Alessandro Quattrone. E i silenzi sono acquisizioni nelle quali   l'echeggiare dei flussi si riproduce in colori e riflessi che animano i   piccoli spazi aperti dai nostri movimenti; le ripetute erranze effettuali   sorte ove più cauto è il passaggio e tenue il timore. La visibilità della   natura nelle sue sfumature determina l'accenno riferibile ai tratti ogni   volta percepibili e riconoscibili. Ci sono rapporti di creature animali   "innocue, innocenti, inquiete"; attimi che si rivelano d'attesa e   di sosta, senza tralasciare l'attenzione che ricorda certe accezioni nello   stile di Paolo Ruffilli (pensiamo a "Diario di Normandia", il suo   testo poetico forse più affascinante) dove si coglieva tutto il potenziale   del verbo "distinguere" nel senso di acuta capacità di osservare,   in una perfezione di equilibrio rara sulla precisione del verso. Una   opportunità costitutiva si confronta qui con i segnali della precarietà e dei   limiti percepibili nell'antropologica concatenazione dei particolari,   "mentre l'autunno domina sui nostri occhi/ che si chiudono per non   vedere estinguersi/ i falò nella pianura su cui scende la nebbia". La   magnolia, poi, che non ama l'inverno, riporta in diverso modo all'immagine di   un'altra magnolia, dei suoi lampi; all'intensa poesia che apriva "Paesaggio   con serpente" di Franco Fortini, per chi scrive questa nota tra i più   alti esiti della poesia italiana del Novecento. Nel testo di Alessandro   Quattrone sembra che a volte sia impossibile decifrare significati appaganti   sufficientemente esaustivi dalle fonti contestuali che abitano il nostro   ferito ambiente e le incertezze dei passi estesi alle angolazioni delle   prossimità percepite. "Quando il cielo si oscura/ è il momento di   fermarsi" dice il poeta nei due versi iniziali di una poesia a forma di   quartina dove riecheggia la priorità sedentaria dell'urgenza di natura   associata allo sforzo costante espresso dallo sguardo che annota elementi   nella capacità di comprensione. L'innesto ammette anche momenti in cui la   versificazione assume una tonalità minimale, ad approccio immediato, piano,   umile nel filtrare l'essenzialità del dato. La domanda più alta, poi, si   rivolge alle malinconie umane che costituiscono il segreto che ci confonde:   "dove sono quelli che una volta c'erano", nella diffusa e sospesa pazienza   delle cose.
  

       
 
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