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Clarice Lispector

CLARICE LISPECTOR "ACQUA VIVA" (ADELPHI EDIZIONI, 2017)

L’ignoto è nel prossimo istante; respiro e paura diffondono la sensazione di un passaggio esperto dove la prosa creativa evoca l’ineffabile architettura dello spirito. Opera breve pubblicata per la prima volta nel 1973 e riproposta in questa edizione del 2017 in Italia, nella traduzione di Roberto Francavilla, “Acqua viva” è uno straordinario esempio di fluidità linguistica, esito della scrittrice brasiliana di origine ucraina, Clarice Lispector. Il titolo nella lingua portoghese significa anche “medusa” e proprio questa natura acquosa, femminile, luminescente comporta la stesura nella coincidenza di pulsioni e traumi attraverso una sfida linguistica al senso del tempo. L’è della cosa sollecita l’acquisizione e l’interpretazione all’origine della vocazione metafisica, oltre l’istante appunto, inenarrabile se non nell’amore. Ma il sentimento per eccellenza non è qui limitato ad una connotazione inesorabilmente votata ad un destino di epistasi. Piuttosto un lungo e orizzontale procedere nella sembianza di una epistemologia panica, concentrata più volte sugli enti delineati in ombre sonore e colori versatili. L’iterazione canta e fluisce in una successione ritmica dove corpo e parola intrecciano raffigurazioni visive, musiche, dati verso dimensioni ulteriori ma non indefinite; contate, piuttosto, al limitare dei destini. Esempio magistrale di un affresco psicologico e concettuale innestato nella ripercussione del tratto esigibile quale necessità sensuale adibita a filtro di albe azzurrate e parossismi evocativi. C’è sapore di distanze condotte su confini arroccati tra gli opposti di timori inabissati ed epifanie corrusche. L’io narrante sembra passare dalla pratica della pittura a quella della scrittura, dove il linguaggio è davvero sinfonia di significanti; “voglio scriverti come colui che apprende”, esterna la voce interprete di umori, albe, venti. Il flusso di coscienza evapora oltre le congiunte domande, aspira ad una teofania interrogativa, conduce ad esperienze liminari, quasi sinuosi volteggi in una palude di manganelliano tracciato, anche se con diverso stile, delegato alla lucidità dell’attimo coniugante il sussurro. Di più, il tema dell’ansia verso il mistero della morte, l’evento limite che ci pone l’evidenza del suo stesso essere e del suo necessario superamento, deterge auspici naturali in cose, creature, pensieri che solo grazie ad un’allegria ontologica possono risolversi in domanda ammissibile.


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