Gabriela Fantato "La seconda voce" (Transeuropa Edizioni, 2018)
La voce, la “seconda voce” di Gabriela Fantato esprime l’indice poetico che afferma tutta la dignità del dolore privato e civile. L’alternarsi dei corsivi espone la pagina ad un vissuto evocante la traccia dialogica che tenta il recupero anche di voci che necessitano di altre voci per farsi sentire. La parola del poeta, dunque, assume una responsabilità che tratteggia la valenza letteraria e allo stesso tempo etica della forma espressiva nel suo irrompere fonetico. Rimodulare è turbamento e scoperta insieme, progetto vivificato nell’innesto storico con le esistenze altre, significative e uniche, le voci altre, temprate dalla fuga dei codici e dalla trasformazione spesso sofferta dei significati. Nella poesia della Fantato si coglie il bisogno di recepire la più intima natura delle frequenze che costringono ad un ascolto mai passivo; chiedono con energia intellettuale la traccia capace di modificare un destino. Una parziale iterazione di termini concede la grazia di una musicalità addossata alla forza delle possibili alternative che compongono l’avvicinarsi e l’allontanarsi, nella ripetuta distanza dai fatti incisi nella storia delle derive. Il teologo Giuseppe Barzaghi scrive che spiegare è togliere le pieghe, quasi una possibile manualità artigiana che rivela “la tua storia, con gli stessi volti,/ ma con le pieghe nuove/ da scoprire”. L’incombenza della materia lascia spazi a flussi che muovono inesausti, aperture intime di una diversa natura, emozioni spirituali, timori e tremori che parlano lingue arcaiche. Forse fare poesia, in certi casi, è davvero, come scrive l’autrice, “diventare un urlo che non smette di bussare”; dimostrare una maturità stilistica in grado di dire in modo altro ciò che si pone all’attenzione, privilegiando quella eco di voce che dall’intimo incalza e preme, facendoci percepire la delicatezza dei flussi come la sacralità dei “senzanulla”. Assoggetta, digradando, un segno, una traccia ammissibile nella confessione quando “resta la voce che ci fa/ - timidi e terribili”. Molto significativa la poesia “Delta del Po”, dedicata al padre, dove si coglie tutta la necessità di un dono che possa essere consolatore, nei punti di una retta che si fa orizzonte marino; dalla prospettiva di un luogo in cui si dilatano le ore, la sabbia ospita e, più di ogni cosa, si vanno a costituire i ricordi. E poi le vite rubate nelle spirali della cronaca; le vittime innocenti come Hina Saleem, ragazza pachistana uccisa dai familiari perché fidanzata con un giovane non musulmano, o le morti provocate dall’uragano Katrina; e ancora la bambina Natasha tenuta segregata per otto anni da un uomo in pochi metri quadrati, rimanendo incinta più volte. E’ un continuo dare voce ai percorsi che si susseguono nella drammaticità delle esistenze, fino ad arrivare alla ricostruzione di un’ultima notte, quella vissuta nel 1941 da Marina Cvetaeva, figura molto amata da Gabriela Fantato, in cui la poetessa russa, in una condizione di estremo isolamento, decise il suicidio, nell’ esternarsi di voci che confidano, assistono, accompagnano umbratili ad un esito tragico in cui “la distanza tra le due rive è/ sottile come solo la vita”.