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gilberto isella

GILBERTO ISELLA "L'OCCHIO PIEGATO" (BOOK EDITORE, 2015)

Sembra che Gilberto Isella in questo libro "L'occhio piegato" parli specificamente della merce. Una prima sezione ha per titolo infatti "Ipermarket", riportandoci ad una tematica, quella dei non luoghi, che ha avuto quale formidabile cantore il poeta Alberto Mori. Ma qui, Isella pone il tema in realtà come pretesto per dirigersi, con la raffinata maestria letteraria che gli è propria, verso il cuore di un argomento ulteriore: la questione dell'alterità nel medesimo; la sottile differenza che costituisce nello stesso proporsi, il lato enigmatico che emerge ed impone la domanda inesausta, il ricercare ciò che è degno. Ogni feticcio richiama l'insistente agnizione del nostro tendere, attraverso indugi e passioni, ad una natura che in sé comprende l'ambizione teleologica. La costruzione linguistica pone sulla pagina l'efficacia solvente della sillabazione delle stesse strutture in versi con in calce brevi prose a dirsi poemetti nei quali si misurano accorte proporzioni tra rituali e camminamenti, dove il sèguito al verso è sèguito di traccia che anche nella strofa più compatta, il distico, intona la prestanza dell'antitesi piccolo/grande: "E a ogni svolta/l'oceano". Così non sono esclusi termini come quelli capaci di coinvolgere la curva piana del linguaggio matematico che a sua volta deriva dalla voce dotta di origine greca "kissoeides" o simile all'edera, disegnando figure implicanti il coinvolgimento di sensi differenti. E si diramano, in una versificazione acuta, sfilacciati organigrammi e cigli catarinfrangenti; algoritmi di sviluppo e tetraedri dello sguardo. Allitterazioni genetiche contendono ai filamenti asimmetrici distanze esattamente calcolate nel rapporto maieutico tra manipolazione ludica e intuizione oltrepassante l'immanente. La spartizione dei viaggi interiori comporta un'accesa traccia capace di riconfigurare, attraverso l'utilizzo dei mezzi agibili, schemi arcaici di una osservazione che dagli effetti risale alle cause. La contingenza non è più soltanto ciò che potrebbe anche non essere, ma un viatico alla raggiunta necessità integrata dagli elementi e dai frammenti della materialità plastica e naturale, ad integrazione corretta dai flussi riordinanti delle conduzioni espressive. Anche il tratto/citazione, in Isella, diviene composto di uno scorrere che ammette la presenza di unità magmatiche rivelatrici dell'incedere riflessivo spesso intrecciato a tappe dove l'integrazione tra uomini e cose parla il linguaggio della "iscrizione in risacca". L'occhio piegato è occhio che ritorna alla sua origine attraverso labirinti dove gli oggetti richiedono attenzione e reinterpretazione in grado di tradurre le tonalità inaspettate degli eventi e i profili di ciò che seduce, giungendo a quel "magma vitale" vero obiettivo dell'indagine operosa. Operatività propria di una poiesi efficacemente racchiusa all'interno di una gestione sapiente dei fenomeni linguistici, nella loro complessità molteplice. Una ramificazione che si trasforma in nominazione, lungo atti votati ai sensi diversi che veicolano sollecitazioni e trafitture cromatiche attratte dal rito profano imposto dalle cose, evidenziando il bisogno salvifico di indirizzarsi verso altro e ben più alto contenuto, capace di reinterpretare la costituzione stessa degli enti. Così come gli innesti a versi spesso lunghi e dilatati, nel corsivo inondano la pagina di terminologia più tecnica e accostante integrazioni e irradiazioni ardue. E non è da trascurare il dialogo/rimando costruito su due figure basilari a rappresentare il nesso primario quale il rapporto madre-figlio, intessuto di agnizioni, assenze, ricongiunzioni impreviste in una danza liminare di profili e dervisci, porte e venti angelicati. Nella seconda parte, la dittatura dell'egemonia finanziaria viene affrontata attraverso una partitura che esprime strutture poematiche più compatte, quasi fosse necessario edificare muri di contenimento alla pressante onda d'urto del condizionamento economico, richiamando la voce di Ezra Pound contro l'usura. Il percorso giunge poi al suo esito conclusivo in una sezione, l'ultima, nella quale il verso si fa più lieve, ondoso, quasi "un guizzo improvviso di crema/ su specchiera" a dire di usanza dei sensi, tensioni traducibili in ciò che può e deve essere desiderabile, come una musica d'oboe od ottone attraverso moti intimi ed inconsci, cammino che non esclude il vuoto ma giunge verso "orizzonti di carne" in un tono che coinvolge una sensibilità sensuale. Non demorde la domanda ostinata e non cede alla facile elusione perché Gilberto Isella responsabilizza acutamente ogni traccia che caratterizza e segna il vocabolo o il sintagma stesso, nell'innesto agile votato ad un dinamismo conturbante. Un processo che intona e assurge a grazia metafisica, ben sapendo di un poetare che compone regesti "su cui fai correre i fanti della mente".

Gilberto Isella    “Arepo”          (Book Editore, 2018)

“Mai si raggruma limo su chiodi d’assito/ né in pance d’alambicchi ombra è tenuta”; eccelso esempio di una magistrale architettura linguistica, questo distico iniziale fa parte di una poesia di “Arepo”, opera di Gilberto Isella. Autore di preziose figurazioni letterarie, tra i più significativi della generazione nata negli anni Quaranta del Novecento, Isella appare sempre più teso verso un vertice creativo che abbina l’esemplare costruzione poetica nella meticolosa definizione del significante con la profondità filosofica della identificazione del particolare nascosto ed enigmatico nel significato. Il titolo evoca l’elemento compreso in una antica iscrizione latina in forma di magico quadrato composto dalle parole sator, arepo, tenet, opera, rotas, capaci di determinare un palindromo. Ma l’autore non si sofferma su aspetti esoterici, privilegiando l’osservazione problematica nella sua inquieta dinamicità. Se l’esserci stesso in quanto tale è di per sé dinamico, secondo l’accezione espressa da Heidegger, l’esserci poetico ancor più infonde sostanza alle sfumature che acquisiscono toni ontologici. La materia deve riconvertirsi in forma capace di distinguere le personali attitudini che sensibilizzano cromie e fenomeni, emblemi e riemersioni, devozioni in un considerare aligero che scorre. Ma certo se il giallo è impaziente e non placa, trasferire i tratti inattuali è determinare il segreto possibile decifrarsi dei sintomi. La malinconia è trascinata dallo scorrere di tempi ubiqui, lontani dalla nostra capacità di coglierli se non sedotti, arresi alle discoste spinte vibranti sui bordi dei versi riaffacciati alle possibilità semantiche e autoriali. Isella ben comprende la necessità di superare, oltrepassare il significato usuale per svolgere ricognizione più vasta e adeguata all’ardente pazienza dei poeti. Un fluire incredulo detiene la grazia della continuazione esposta al bisogno emotivo di quella domanda alla quale la poesia azzarda la scelta della parola esatta, la folgorazione attimale dell’indicibile. I versi scolpiscono con la grazia del tratto una finezza espressiva che colpisce, nella stupita attenzione dell’ascolto. Siamo posti di fronte ad un esempio poetico di rara presenza nel tracciato di una produzione contemporanea troppo spesso adagiata in formule scontate e prevedibili. Qui la sostanza compone le simbologie e le coniugazioni, attraverso un’estensione lessicale ondulata e rapsodica. Le allitterazioni ricamano un disegno dalla raffinatezza espressiva oltre il definito, “dove la mente in esilio disvela/ i suoi segni più sagaci”, come profumi di pino che interrogano le nostre debolezze inusuali. Non vale forse l’episodio che concentra l’assolo nel deposto ancoraggio, attraverso sospensione di epitaffi e rigurgiti ad oltranza; meglio la svista, se mai sedotta, all’apice della configurazione nominale che sovrasta.  E così sai di poter individuare un’alternanza che, nei rivoli esegetici, comprende una via percorribile ed esposta alla riconoscibilità delle scansioni. Esistono ed emergono segnali di ripetute fisicità, rovine e pozzi, mulini ed anfore, sabbie e fave, sismi e ibis; come non esita a manifestarsi anche l’innesto in una prosa poetica che arde in umore di contenuta apocalisse. Denotazioni arcaiche impongono esperite visioni sottoposte all’implacabile e diuturno romitaggio quando, scrive Isella, “qualcosa peraltro s’inceppa/ nel montaggio vettoriale”. Significativa l’attenzione all’opera di Piranesi nei temi relativi alle rovine come elemento di un compiuto architettonico e il labirinto (o carcere) quale allegoria della condizione umana; proprio l’espressione, così, si attira l’elegante fioritura di una strofa del poeta capace di concentrare il sentimento delle cose colte dai sensi nella costruzione demiurgica dei moti tangibili: “Sul cilindro girante della notte/ concepì una ronda di pulegge/ per il suo piccolo cerebro/ sovrano”.


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