giorgio bonacini
Giorgio Bonacini
“I segni e la polvere”
(Arcipelago itaca Edizioni,2020)
Giorgio Bonacini, poeta di particolare
qualità e consistenza stilistica, propone questo esito “I segni e la polvere”
nella definizione di un sottotitolo che allude a percorsi ritmati in 52 poesie
“distrattamente felici”. Qui, il verso breve, limpido, essenziale, nella
connotazione visibile del sintagma, nel verticalismo strutturale, nella lieve
fonetica dell’assonanza così come nell’osare della rima, imprime alla pagina
una espressività icastica che rimanda ad una conseguente attenzione riflessiva.
L’immediata sensazione è di trovarsi di fronte ad un intreccio di prospettive
che sorprendono nell’accostamento rapido e profondo, denso nella sostanza
effusiva contemplata nei particolari esigenti; ben sapendo che “non è la
distanza/ né il muoversi/ troppo che assorbe/ nel ritmo/ un tamburo di guerra/
ma ninnoli e note/ nel canto alla terra”. Sono attese di risposte nelle
peculiarità delle piccole incisioni, nelle ferite, nei prospetti cromatici
accesi dagli accostamenti di una sinestesia armonica: “i tuoi mille profumi/ li
vedo giallissimi”. Un verso breve che nella veloce successione scava ogni volta
una profondità evocativa. E’ trovare traccia di un assenso interpretante il
valore della mitezza quando essa sa osservare contemplando, interrogare
esprimendo. L’elemento naturale si ritrova lungo il percorso degli accostamenti
in un sorvegliare liricamente le genesi e le mutazioni, così come gli esiti, in
una volontaria ermeneutica dei dati materici accuditi e rivisitati. Giorgio
Bonacini sa dosare la limatura del verso con estrema perizia, lasciando
volutamente un aere sospeso, dove lo spazio della pagina sembra costituire
ampiezze ulteriori, margini di accenni non detti ma intuibili. E sono, a
succedersi, segni di neve e chiarori, sabbie e pietraie, venti e smanie, ma
anche impreviste farfalle incuranti, tracce di una gradazione di risorse a
volte diafane, altre incise, che corrispondono a passi rivelanti la tersa
complessità del sentire oltre l’immediato. L’autore coniuga l’attesa con
l’intuizione accorta “in fumogeni d’arte/ o di lingua/ e in fittizia clausura/
nei versi aggrottati...” quasi un esperire il senso autentico di un’ estetica
che si è sempre più rivelata una valutazione del sensibile, in un suo
definibile equilibrio. Gli accostamenti dicibili avvicinano esperienze
sensitive diverse e inattese che esortano a pensieri capaci di riformulare le
visibilità in considerazioni curanti una genesi partecipativa, evolvente,
scandita in atti che comportano processi analogici. E’ quasi un contenersi
sulla pagina per innestare propositi di accostamenti che richiedono una esegesi
al di là delle fratture e delle scomposizioni. Poi diventa necessario porsi una
domanda sull’oltre e sul senso, che sorge spontanea, inalienabile, dopo la
sintesi di un’osservazione durante la quale “si mastica l’acqua/ per giorni e
per notti/ si guarda all’insù/ con la mente/ racchiusa in un cielo”. La
rievocazione è subitanea affiorando alle foci dei calori avvertibili, nella
impossibilità di determinare gli eventi, ove sono i ritmi spesso chiusi che
disperdono i segnali riproducibili e le contaminazioni collocabili in aree
altre rispetto alle nostre stesse percezioni. Le assonanze evocano ritmi allusivi
e pertinenti dissolvenze, attraverso le funzioni caratterizzanti la dinamica
della stessa attenzione. Emerge la possibilità di cogliere il proprio limite
nell’ancoraggio a segni devianti il mirare, dopo collocazioni inagibili e
restie a decifrare i tumulti del cuore, così come la scansione riprodotta dalle
sillabe nell’ora della vulnerabilità, della riduzione dei passaggi. Giorgio
Bonacini vede il nostro procedere “in solitudine/ all’interno/ di un calvario
minimale/ o di abitudine”. Vi sono misteri quotidiani da decifrare, allusivi
ritorni all’incedere franto; come, a volte, è inevitabile accorgersi di
percezioni fertili in mitezze d’aurore e smarrimenti d’esilio.