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giorgio luzzi

GIORGIO LUZZI  TROPPO TARDI PER SANTIAGO - NINO ARAGNO EDITORE, 2015

Non è mai troppo tardi per rientrare nella algebrica connotazione asimmetrica dei versi colti di Giorgio Luzzi. Complessa, ardua e affascinante questa poesia che leggiamo nel suo  “Troppo tardi per Santiago” (Nino Aragno Editore, 2015). La densità è davvero, come detto da Giovanni Tesio, caratteristica di un procedere che alterna comunque passaggi ritmati a versi prosastici, rime e assonanze intercalate a strutture strofiche più complesse dove una forma di enjambement rientra nella tentazione espressionistica ove si denuncia ciò che irrigidito compone la partitura di sconfitte elaborate in approfondimenti mai del tutto dicibili.  L’inquietudine ci prende, attraverso rievocazioni e procedure ripetibili ma non sezionabili, transiti di passaggi umani e sofferenze etiche depredate nella incontenibile riflessione corale. Ossimori intimi suggeriscono rimandi intertestuali plurimi, materici sviluppi dislocati dove non manca, a volte, l’affondo di una ironia amara. Non è possibile muoversi a proprio agio tra queste pagine se prima non si è compiuto un approccio quasi catartico al senso labirintico della ricerca testuale, elemento fondante la proprietà letteraria più compiuta. Sapori mitteleuropei contemplano la temuta rigidità delle strutture inalienabili che si fanno tangibili enti di presenza e destino, periferie e ambientazioni tracciate dagli umori dei corpi spinti nelle gradazioni anche drammatiche degli eventi. La mappa permette, ma solo se con passo cauto, l’inoltrarsi verso referenti che ci furono maestri, ricalcati in formule quasi teatrali: “altocinto ritratto del Petrarca, viso bianco di/ profilo, mano destra che disegna un anello di diti”. L’incontenibile dicitura, quando assume il compito richiesto, allarga il passo nella espansione orizzontale del verso deponendo conduzione a metonimia e iperbole. Sciami con vocazione di vocabolo insidiano la domanda sul contesto che viviamo, tegumento a nodi e prostrazioni dense nelle quali lacerazioni e ferite (non rifioriture) dei drammi quotidiani c’infliggono il plumbeo sentore di debacle. Non  ce ne vorrà, Giorgio Luzzi, se proprio questo suo testo ci fa sentire più che mai il bisogno di ritornare ad una prospettiva metafisica. Davvero se certa analitica, come Quine ritiene, esprime l’esistenza associata ai concetti, la necessità che sentiamo nella lettura di questi versi è di recuperare anche la dimensione dell’esistenza nei soggetti individuali stessi, nella fisicità degli enti che troviamo corposi, minerali, colmi di una sostanza che non si esprime solo nel contenuto. Ma un tutto che richiede in primis causa e senso come bisogni fondanti. Il fare è individuato con sudore tra le carte, tra le righe denotative, oltre il piano che richiede una considerazione alcune volte d’ironica prudenza : “Un altro caffè non sarebbe a quest’ora consigliato./ La crisi delle cinque entra di rado in Dostoevskij”. E si susseguono fiati di candele, cadute, pietre lisce, tele di granito, l’inerzia non sterile, la ribellione ad uno stato per assecondare anche provocatoria anarchia dell’inguine. Poi lampioni o stemmi, profilo di cigli, erbe ultime, narrazioni pacate di vicoli che fanno da sfondo a episodi quasi cinematografici, trabeazioni irregolari e spiazzanti. Anche certi titoli hanno la struttura complessa di progetti saggistici, impianti tematici a definizione di propositi; conduzioni a strategie scacchistiche. Dove il solidale affondo s’innesta e articola grafie di ulteriori sviluppi, si determina il congegno tra “l’alone dei nomi” e “l’amaro sapere dei viaggi”; e proprio in questa sezione sui luoghi si scardina la spazializzazione per evocare l’affondo storico, sia che ciò si concretizzi nella comparsa di Simenon o di campagne napoleoniche, poeti svedesi, mare della “vida” visto da Cuba, trattorie austriache, rivincite a Little Italy, sia che il passo si configuri come mediana premessa ad un affondo che porta alla luce la denuncia civile che, nel libro di Luzzi, si completa nella parte finale “Rogo alla Thyssen-Krupp”, a ricordo della tragedia avvenuta nel 2007. Infine, una passione musicale che si coglie nei riferimenti dell’autore diviene compiuta partitura di una irregolarità non confinabile in accezioni precostituite ma vivibile ancora come mappa all’interno di un organismo linguistico dotato di potente, documentabile respiro.
                                       


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