Iosif brodskij
Iosif Brodskij "E così via" (Adelphi Edizioni, 2017)
Sarebbe un oscurare il passato forse, o guardare una vita senza specchi; così come scrivere “sulla sabbia bagnata e vitrea al tramonto, forse ispirato/ dalle cime delle palme strombate contro il cielo platino”. Ci sono una consapevolezza e un senso del particolare espressi in lingue come l’inglese e il russo, qui tradotte in italiano rispettivamente da Matteo Campagnoli e Anna Raffetto, nella selezione sovrana d’innesti linguistici imprevisti portati alla ricezione possibile, non univoca, di una partitura persistente. Un poeta, Iosif Brodskij; un titolo, “E così via”, apparso per la prima volta nel 1996, lo stesso anno della morte dell’autore, Premio Nobel nel 1987. La Russia dell’origine e l’America dell’adozione. All’infinito, davvero, una sequela delle cose che anticipano il loro possibile seguito nell’acquisito rigore della costruzione testuale; esuberante ma calibrata, sonora ma capace di silenzi. Il fluire veste la pagina di blocchi corposi e incisi nelle proposizioni evocanti gli incontri, le attese, il trasalire, le vicinanze, le ripetizioni, le sospensioni quali disseminate voci di forestieri, oltre le variabili soluzioni metriche. Si delinea geometrico un tracciato d’interventi operosi sull’abbondanza semantica che impone la sosta riflessiva e accorta, dispone la partecipazione esiliata nel suo recupero affiorante dai segmenti carsici, e le peculiarità incalcolabili pongono richiami fonetici non più rimandabili perché già reiterati. Sussulta il verso nella strategia mirabile, quasi elemento di cantiere all’opera nell’evidenza espansiva diretta ad una diversa sceneggiatura in estensione narrante dove niente è superfluo. La tensione è tutta nell’attesa del verso giusto a eclissare la pagina bianca, dopo il tempo delle privazioni e dei detriti, oltre la determinatezza dei contenuti posti alla scelta della scolta, nella conducibilità della testimonianza. Una poesia capace di articolata tematica, quella di Brodskij, esposta alla definizione dell’esigibile espressione letteraria nella conduzione di tracciati riferiti, dilatati e contrapposti alla parvenza prevedibile delle costanti abituali, in una disposizione attenta e classica. Il corrispettivo visibile nella riferibilità prosastica imposta dalla traduzione conduce ad una singolarità effettiva, articolata in irruzioni concettuali emerse: “La costanza è l’evoluzione in un pensiero/ del principio abitativo. La prosecuzione di un quadrato”. Non è mai incerta la direzione del verso, nella sua consistenza minerale, capace di rivelare intelaiature a reticolo, evoluzioni di prospettiva applicata alla considerazione sugli eventi posti nella visibilità d’identificazione ed esegesi, così come diventa possibile anche la magistrale capacità di porre in una struttura linguistica calibrata una ironica e amara dichiarazione di disamore. Sembra di camminare al fianco di una presenza fisica, la stessa di Iosif Brodskij, nella costanza di un dialogo intessuto tra gli angoli e gli scorci di un viale metropolitano, nel terso rigore di un inverno. Ogni passo concede opportunità e direzioni differenti che conoscono però l’opzione successiva, l’ipotesi della mappa, la perfetta potenzialità della scacchiera. Eppure le stesse forme strofiche e le identità dei versi cambiano e si alternano nelle loro figure, in lunghezze molteplici e scansioni rilevanti. Qui l’autore imposta la scrittura con la lucidità di una metafisica analitica; nella precisa incisione evidente del tratto di china, come la costruzione di una preziosità pensabile: “L’ibrido di passato e futuro in primo piano, gettato/ nella pietra. Torso possente con groppa equina incrociato”. Il commento ad una siffatta poesia non è mai ultimativo, perenne, ma in evoluzione costante che accompagna la riflessione di chi legge e scandisce, magari ad alta voce. No, non siamo davvero frammenti fugaci in uno spazio incompreso, quando un affondo letterario come questo si fa precisazione filosofica in atto, enigma risolvibile per grazia concessa dalle annotazioni versificate; “Perciò meglio il coraggio! Le linee della mano,/ la danza di rosee cifre sul biglietto del tram”. A volte il tono può farsi discorsivo, in affabulazione; condurre vestizioni in armonia di mimetismi quali espressioni che sanno fondersi con declinazioni inascoltate e quindi preziose. Il vantaggio acquisito e l’esemplarità di una sintesi che permane nell’analisi si dilatano a comprendere l’esigenza dei termini nella loro perturbabilità mai scomposta, sempre determinata in un arazzo raffigurativo impeccabile.