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Lucianna Argentino "Le stanze inquiete" (Edizioni La Vita Felice, 2017)
 

Sono le stazioni di una via spesso   dolorosa; sono strutture poematiche prosastiche intenzionate a farsi   testimonianza e segno etico; sono schizzi di una umanità concreta e ferita   nello spazio di un non luogo. Sono le poesie di “Le stanze inquiete”, novità   letteraria di Lucianna Argentino, che raccontano un’esperienza diretta   rappresentata da undici anni di attività presso la cassa di un supermercato.   Se in una fase recente, diversi e significativi sono stati, anche dal punto   di vista poetico, i riferimenti ai non luoghi nella loro rilevanza   oggettuale, qui l’autrice li pone come teatro di sfondo alle figure umane che   diventano quindi effettive protagoniste, con le loro storie solo intuite   nell’attimo della “comparsa” davanti all’osservatrice. Difficile, in questo tipo   di approccio, mantenere un equilibrio strutturale nell’esito, senza concedere   sbavature alle tentazioni umorali e intimistiche. La facciata a tonalità   discorsiva tende a placare l’innesto emotivo per coniugare l’attenzione al   verbo dell’effetto minimo ma icastico. Si alternano al passo pianeggiante dei   versi anime asfittiche ed altre ariose, profili incerti o marcati, ma sempre   rilevati nella responsabilità di ogni ricezione...”nella vulnerabile fedeltà   al cuore/ offriamo una tregua al diverbio del sangue,/ riconciliamo il   respiro con la vita/ calzando numeri e poesia”. Una vicissitudine   moltiplicata nei rivoli di esistenze colte in un particolare aspetto che   opera la trasposizione in un tono volutamente dimesso della confidenza e del   dato che apporta una tenerezza empatica detta, quasi comunicata, nella   ineluttabilità delle derive. Lo sforzo della penna che diviene sonda vuole   immergersi nel dettato distillato da una sofferenza che si manifesta in volti   rintracciabili nel tempo contingente delle quotidianità umbratili quando la   luce, lentamente, sembra cedere ad una sera abitata dalle solitudini che la   parola vuole trattenere. Una moltitudine svolge la partitura sussurrata che   incede verso la testimonianza del dolore significativo quando specchio di una   deformità incompresa. L’umiltà del tono confidente utilizzato da Lucianna   Argentino produce un’auspicata attesa, “quel sollecito al difficile compito/   di morire migliori di come si è nati”, nel desiderio di una poesia capace di   renderci più sensibili e attenti.
  
  
                                                                                                                                     
LUCIANNA ARGENTINO "L'OSPITE INDOCILE" (PASSIGLI EDITORI, 2012)

Danza, decisamente danza Lucianna Argentino nei versi del suo “L’ospite indocile” (Passigli Editori, 2012). Una poesia intessuta di sonorità lievi e aperte, fissate però su elementi solidi nel riferimento tecnico, attraverso allitterazioni, anafore, rime e assonanze calibrate. Il pieno e il vuoto sono semantici referenti colti nella traccia lasciata dai silenzi e dal doveroso recupero di una parola che possa essere abitatrice di nuove dignità acquisite o recuperate. “Dice che non c’è addio nelle asole/ e asola allora sia:/ poca materia intorno e vuoto” come se la materia stessa non fosse che alternanza ritmata, concessione segnica, giano bifronte, esposizione all’opposto indugio attutito dalla fervente modalità dell’esecuzione rinviata, attesa, conciliata con i rilievi fissi che riescono comunque a contenere i confini della sera. Davvero le cadute quotidiane sono permute, reiterazioni indugianti, dolori ondosi. L’ospite è qui elemento indocile poiché tutto ciò che rappresenta non si concede soste, adattamenti, equivoche moderazioni diafane ma sottende e annuisce, sfugge alla limitazione dei cordoli, delle manomissioni materiche, contende all’evento naturale la sua parabola annunciante. “Questi paraggi celesti, che non hanno bisogno di avere un senso geografico, forniscono il verso- dove” diceva Heidegger riflettendo sulla spazialità dell’ente. C’è qualcosa che sempre, guardando, ci viene incontro come possibilità acuita dal nostro attendere; così come i versi di Lucianna Argentino sono idonei ad annunciare una direzione modificabile e non escludente l’auspicato ritrovarsi. Ed è da guardare e assaporare proprio quel tempo che è capace di scorrere “in limpida piena” e parlare d’altro, di ben più generoso senso, di dolore che tanti non sanno dire, attraverso una partecipazione sensitiva che concede ulteriori auspicabili quote verso compassioni che distinguono tra gli antefatti e le derive. Una vocazione estetica si rinnova nell’elaborare un concetto di “prossimità” che valorizza l’equilibrio come risultato di un porre il verso alla condizione spaziale della pagina, esortandolo a sostenere, nella immediata leggibilità, il suono del contatto. Dove sono spesso i miti argini del nostro rassicurarci, dove insidiano temuti gli esposti estensori delle mimetiche paure. In una poesia, l’autrice scrive che una sera è addirittura Dio a pregarla “d’ascoltare ciò che sta nascosto”; e certo solo il Dio evangelico che è il padre amorevole, come Carlo Maria Martini diceva che avrebbe dovuto chiamarsi la parabola del figliol prodigo, e che corre appunto incontro al figlio riconosciuto da lontano, può farlo in un senso quale la “fides”, l’affidarsi, effonde per una svolta decisiva dove non c’è addio perché ben altro sussiste rispetto a ciò che definiamo tempo. Già in questa nostra condizione immanente “scrivere è togliere spazio al male”, è funzione operativa tendente ad una kantiana domanda morale circa il che cosa dobbiamo fare. Gli elementi di una meteorologia emotiva e quotidiana espongono i quesiti inesausti e gli auspici estendibili ad una stagione delle attese caratterizzata dalla sensibilità effusiva, a tratti compatibile con gli elementi di natura. Anche l’immagine del bambino è frequente nelle tensioni della luce, a caratterizzare forse l’attenzione riservata all’elemento giocoso, ludico, inventivo, rivoluzionario e sacro perché separato dall’usuale peso che si fa impedimento. La svolta invitante di Lucianna Argentino porta quindi l’ospite lettore a conciliarsi con tentativi e risonanze, nello stare, nel declinarsi e nel raccogliersi “in confidenza con l’eterno” e dove “Il foglio è altare”.


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