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MARICA LAROCCHI "LA COMETA E L'IBISCO" (STAMPA 2009, 2013)

 Finalmente si colgono, nei loro attenuati estremi, nientemeno che la cometa e l'ibisco. Aprono il varco ad un passaggio di equilibrio linguistico raro e prezioso. "La cometa e l'ibisco" (2013) è il titolo del più recente edito di poesia ad
opera di Marica Larocchi. Qui l'autrice, lombarda di madre slovena, tra le più significative traduttrici dal francese, esprime un'architettura strutturata in versi davvero propiziatori al disegno fonetico e simbolico che, in una sintesi non ortodossa, capacita di sé l'afflusso sensoriale che deterge l'ombra degli stimoli. Non rese all'evidenza ma paesaggistiche ricezioni dove l'imprevisto interpretativo attende ad una felice torsione del condotto verso enucleati passaggi tonici e cromatici, già esposti alla profetica intuizione della poiesi dinamica. Artificio non simulato ma denso sostantivare l'amalgama dei pertugi, coniare soluzioni timbriche, temporali umori panici. L'estetica delle distanze  e delle dimensioni infligge, in questa poesia colta, un ordine ai temuti iati e ai flussi interrogativi. Marica Larocchi tesse strofe dove l'arco tracciabile delle assonanze condensa nella ritmica successione, la pausa deterrente del corpo in atto. Il luogo spaziale e geografico, eventualmente evocato, vuole non cedere al detto la sua materialità intonsa e grave. Piuttosto, concedere la metamorfosi del segno che coniuga la generosa fisicità con la sillabica emozione. Curiosa l'affermazione di Maurizio Cucchi, autore della prefazione, circa il ruolo appartato dell'autrice... ma quando mai una ricerca testuale di così alta fattura non è stata, inevitabilmente, sempre appartata? Tornando alla fluida e, nello stesso tempo, compatta natura dei versi, il segno ermeneutico scardina sinuoso l'oggetto della prevedibile attesa. Offre al lettore la salda sfida di una capacità evidenziata dalla scultorea definizione del vocabolo e del sintagma. Quasi due seguite fasi associassero al verso il destino cosciente dei dettagli trasformati in icastici segni della stessa tessitura. Vince una vocazione descrittiva concettuale, portata all'elogio di una sintesi che fa delle membra il correlativo oggettivo dell'indicibile. Umori riecheggiano affinità sensitive con Jean Flaminien , autore frequentato e tradotto. Inevitabilmente "il soffio più fine ha rotto anche/ il gracile conforto dei decori". Qui si abbandonano, dunque, sul duro selciato del tempo, conforti e decori appunto, quando l'appetito estenuato della domanda confonde la resa accorata della disfatta. L'uomo poetante (maschio/femmina) può decidere ora il peso del suo passo, poiché la pagina non è afflitta da oneri di dipendenza, ma esalta mite l'intersecarsi fertile delle suggestioni; non quelle soltanto coscientemente emotive ma, di più, quelle che abitano il razionale rigore del pensiero. Affezioni e patti, suoni ed affetti, fremiti di pietre e segni abrasi, davvero "qui il mistero si amministra per grammi" e, forse, per case, cose, essenze.


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