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Oronzo Liuzzi

"IN ODISSEA VISIONE" DI ORONZO LIUZZI

Possono darsi meditazioni brevi poeticamente veicolanti l'attesa e la chiamata? Il rispondere affermativamente a tale domanda è frutto di letture che sono anche intrecci, ricezioni, svolte, ipotesi. Un dato emerge solido dai versi di "In odissea visione" (2012), opera più recente di Oronzo Liuzzi. Qui siamo dunque, come bene si percepisce dai primi versi, "nel regno di uno spazio vero"; qualcosa di non falsificabile, forse non trasformabile, ma intrinseco al dato oltre l'istante, dove la funzione dell'ascolto rimedia all'abbandono nel dolore sempre possibile, sempre incombente. Lo stacco asimmetrico dei versi conduce all'effetto del "breve" intercalato ad una diagonale nello spazio della pagina concatenante il verso più lungo che si fa prosastico, analitico. Evocatore e cantore dell'intimo fissato dal lento attardarsi su di una geometria dell'esilio finanche elogiata dal negativo, oltre la contraddizione e l'antitesi. Posto il dato udibile, allora altro diverrà l'attentato costante e reiterato alla nostra dimora di terra e corpo, liminare presidio alla svolta auspicata. E poi la "fuga" è fonetica e materica licenza concessa all'elaborato flusso del cogito; medesima parte confluita nella riflessione che Liuzzi filtra e che conduce a quella concettuale ricezione del sensibile che è caratteristica dell'estetica. Le strade in ombra sono quelle dove il poeta riconquista il senso delle cose, di una condizione correlativa che abbandona la catena dei rimandi per farsi aguzza; determinare così la responsabilità ontologica del dato reinterpretato alla luce del passo e del canto. Oronzo Liuzzi, qui, si fa demiurgo di stile, artefice di compattezze poematiche accolte nell'udibile gesto del linguaggio; come giorni e stagioni aprissero varchi agli incontri e agli amori. I ricordi, poi, conducono a intriganti e combattute battaglie interiori nei notturni silenziosi e insopportabili, dove il tempo è pausa, sosta, angoscia, ma anche squarcio sul velo sottilissimo che ci divide dal destino. Le vittime del profitto gridano, scrive Liuzzi, in una fase del dire poetico che, in vari passi, si fa provocazione civile, osservazione disillusa di conflitti d'interessi, registri di dati perdibili, mentre "il passeggiatore invisibile beve una tazza/ di the tranquillo alle cinque della sera". Ma la sera è anche tempo di suggestioni e di bilanci; di considerazioni etiche e d'indignazioni espresse, di denuncia dove solo aleggia, quasi mantra, il "lavorare e comprare/ lavorare e comprare". Non c'è, qui, desiderio di un ruolo che non sia l'immediato; ogni ipotesi di segreto viene allontanata perché eventuale, non necessaria, non contingente e materica come la corporeità nel suo essere ed esserci. Potrà rifiorire la rosa? O forse il pesce ghiaccio, per citare Medina Reyes; o ancora saranno le giornate /inquietudini di Pessoa, o l'incursione nell'ampio respiro della Bibbia. E poi, "la scena del domani può attendere".



CONDIVIDO DI ORONZO LIUZZI (Puntoacapo, 2014)

"Una riflessione composta vestita di bianco"... potrebbe già essere un titolo in sé compiuto, questo verso tratto dal più recente edito di Oronzo Liuzzi, "Condivido" (puntoacapo, 2014). Una vicinanza di tematica posta a rivelare un collegamento imprevisto... proprio in un mio lavoro del 1996, "Apparenze in siti di trame", pubblicato da Book Editore, avevo affrontato il tema della scrittura sulla lettura; la contaminazione degli spunti tratti da altri libri che diventano stimolo o parte integrante di nuova scrittura. Nello stesso anno anche Gio Ferri, geniale anima della rivista Testuale, aveva realizzato un simile progetto con "Fecondazioni", testo sempre pubblicato dall'amico poeta ed editore Massimo Scrignòli. A distanza quindi di tanti anni, ecco che il talento e il "tocco" culturale di Liuzzi rielaborano questa fertile possibilità che ci permette di riconfermare il profondo intreccio che si realizza nelle scritture, nei territori ibridi, nella convinzione che la ricerca sia recupero di tracce da approfondire, rivisitare, reinterpretare. La poesia di Liuzzi riesce ad innestare in una condizione poematica la lingua di autori come, ad esempio, Andrea Vitali, Paolo Giordano, Andrea De Carlo (scrittori di grande popolarità ma certo, o forse proprio per questo, non fucine di particolari esiti stilistici). Ma in questo libro il piccolo miracolo che si compie raggiunge il risultato di ottenere dalla frammentazione dei testi prosastici, dalla selezione di singole parti ritradotte in una versificazione, un esito seducente dove la nuova poiesi attuata determina la trasformazione suadente che non è mai calco ma osmosi intertestuale e, nello stesso tempo, rinnovo acuto e icastico. Siamo forse ancora nel territorio del postmoderno, si chiederebbe un autore come Emanuele Bettini nelle sue riflessioni sull'intarsio dei segni? Ebbene, Liuzzi attua in questo caso, da artista eclettico, una sorta d'intervento creativo che nelle arti visive si è compiuto nella formula del riutilizzo di materiali riciclati in nuove applicazioni. "Condivido" determina la coesione di una selezione fondata su una idea di sostanza, quasi fosse l'aristotelico sinolo, unione di materia e forma, corpo e anima; il totale complessivo che, nella dimensione poematica, non è mai, in realtà, esaustivo ma evocante l'episodio dato e tracciato attraverso l'indocile sguardo dell'interprete. E non manca certo la nota civile in versi come "la voce del divenire/ è ingabbiata/ dalla legge del profitto" che ci evidenziano una drammatica attualità e bene si combinano con alcuni passi struggenti come l'immagine delle "madri che ci chiamavano dai balconi" e che "purtroppo non ci sono più" detta da Paolo Sorrentino; così come i temi del dolore e della guerra. Non collage ma rifinitura e limatura del verso a contenere l'inserimento in corsivo delle citazioni. In "Condivido" non s'incollano pezzi ma si rielabora una vocazione ermeneutica; si determina il processo metamorfico che arma l'incisione ferale sulle ipocrisie e sulle atrocità di cui si è testimoni. Tutto questo attraverso una vicissitudine scritturale che scorre, discorre evolvendo la traccia, adempie al gesto di liverare cautele che solo in alcuni casi attenuano con la figura retorica che s'innesta nella litote. Il verso, di apparente parcità intinto, non teme il rischio di supportare perché consapevole della retta intesa a delimitare l'opacità morale del nostro presente. Il percorso di lettura in queste pagine sarà, quindi, una scelta consapevole diretta a produrre senso all'interno di una conduzione che si fa critica, l'accostarsi ad una nutriente vianda potenzialmente capace di sviluppare ulteriori stimoli, inattese acquisizioni di quella poesia colta che non si accontenta del solo e isolato esaurirsi ma "condivide" in significante e significato.




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