Vincenzo Capodiferro - eneabiumi

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Vincenzo Capodiferro


Rosa fresca aulentissima” è un romanzo giallo di Enea Biumi, edito da Genesi, Torino 2018, vincitore del premio “I Murazzi”, per l’inedito 2018 (Dignità di stampa). Enea Biumi, pseudonimo di Giuliano Mangano, è nato a Varese nel 1949, si è laureato in Lettere all’Università Statale di Milano. Ha insegnato per tanti anni nelle scuole superiori, dove ha diretto anche un laboratorio teatrale. Ha pubblicato diverse opere: le raccolte di poesie “Viva e abbasso” (1985); “Le rovine del Seprio” (2010); “Il seme della notte” (2014); il romanzo “Bosinata” (2014). È presente nell’antologia degli scrittori varesini “I stràa d’ra Puesìa” con la raccolta “Quàtar vèers tiràa de sbièss” (2012). Ha collaborato a diversi volumi, come: “Consorzio Casa di Milano: 1962-1972” (1973); “Il movimento cooperativo italiano”, Baldini e Castoldi 1975. Ha scritto opere teatrali. Ha tradotto poeti in lingua castigliana di area sudamericana in collaborazione con Maria Luz Loloy Marquina. È stato direttore con Martin Poni Micharvegas della rivista “I poeti nomadi”. Fa parte del “Cenacolo dei poeti e prosatori varesini e varesotti”. Di “Rosa fresca aulentissima” la giuria ha apprezzato «sia lo stile fluente del racconto, sostenuto ed arricchito da un dialogo ben strutturato,» sia il pregevole intreccio della vicenda, ambientata nella Provincia di Varese: «Il romanzo lega assieme con la fantasia realistica ambienti assai diversi, come quello del tradizionalismo cattolico, della destra xenofoba, delle forze di polizia inquirenti, sullo sfondo di una borghesia da ceto medio operosa ed ingenua, facilmente vittima di violenze, come accade alla bella Terry, destinata ad essere l’agnello sacrificale di un branco di lupi». Tutta la trama del giallo è incentrato sulla scomparsa di Terry, una bellissima ragazza: «Quella della scomparsa della figlia del sacrista, però, era una bella gatta da pelare per il maresciallo Panepinto. Il quale era convinto non si trattasse solo di sparizione, ma, sebbene fosse terribile pensarlo, di morte. Al maresciallo, Rosario Panepinto di Acireale, mancava ormai poco meno di nove mesi per andare in pensione. E avrebbe voluto andarci con tutta tranquillità del caso. Del resto, in paese, da quando lui comandava quella stazioncella, non era mai nulla accaduto di tanto grave come la scomparsa di una persona o addirittura il suo assassinio» (p. 27). Dopo tante ricerche, che arricchiscono la trama del romanzo, legate ad uno strano gruppo di estrema destra, vengono individuati gli assassini ed i complici del delitto Lovedovo. Terry è una martire della libertà e del pacifismo, nei suoi buoni intendimenti, voleva solo convertire riportare alla retta via un gruppo di ragazzacci inebriati dai miti superomistici del razzismo, dello pseudo-nazifascismo, del bellicismo post-futuristico. Molto interessante anche la figura del maresciallo Panepinto, un inetto sveviano, che alla fine riesce a portare a compimento la sua missione riparatrice della giustizia sociale: «Il maresciallo Panepinto, infine, ottenne di lì a poco la sospirata pensione e, affittato un monolocale che guardava direttamente la catena del Rosa, si abbandonava in uno sdraio a dondolo sul proprio balconcino per ammirare quella gran grazia di Dio che era la natura, e a meditare quella gran complicazione inesplicabile e insondabile che era l’uomo. Imparò a fumare la pipa. E gli parve di essere un novello Maigret». Il romanzo è tanto più realistico perché è una pittura della Varese dabbene, borghese, provinciale. Emerge il forte disagio dei figli della borghesia che si inerpicano nelle altezze estremistiche, sia di destra, che - aggiungiamo - di sinistra. A nostro avviso - infatti - l’estrema destra e l’estrema sinistra derivano dal disagio degli stessi “figli dei fiori” borghesoidi, figli dei vetero-comunisti e vetero-fascisti. I post-fascisti ed i post-comunisti attuali hanno origini comuni. Alla base della destra e della sinistra passata, ideologizzata, e demistificata poi dalla post-modernità, c’è sempre la borghesia. Con occhio pasoliniano Biumi fotografa un inciso significativo della costellazione dei gruppi neo-fascisti-nazisti, oltre ai corpuscoli deviati dalla sana massoneria, presenti nella sua amata provincia, Varese. Il tutto si incornicia perfettamente in un quadro mentalistico caratterizzato da semi di arretratezza, da tendenze ancora legate al passatismo, nostalgiche della Varese fascista, ossequiosa al Duce-luce. D'altronde Varese fu una provincia voluta dal Duce proprio per equilibrare le due regioni trainanti, – diremmo oggi indipendendiste d’Italia – una verso l’estremo nord, l’altra verso l’estremo sud, cioè Lombardia e Sicilia. Queste due regioni si trovano coniugate nella figura del maresciallo Panepinto. La figura del borghese l’avevamo analizzata in quella del “mi fra” potenzese: la fratellanza massonica. Il “mi fra” è un ragazzo disorientato, figlio di papà, con il macchinone ed i vestiti all’ultimo grido, ma spesso privo di risorse finanziarie, perché i padri della borghesia sono avidi. Il macchinone viaggia con le gomme lisce e vedevi spesso il “mi fra” fare l’elemosina dell’ultima sigaretta, o dividersi addirittura il caffè al bar più altolocato della città. Poi ti trovi, però, il “mi fra” in età adulta, passato il goethiano “sturm und drang” adolescenziale, nei migliori uffici del mondo. La lettura che ci dà il Biumi della società del suo tempo e di Varese è veramente interessante ed acuta. Il Biumi si presenta come un intellettuale di frontiera, pronto a gettare, in uno stile sobrio e verosimilistico, stralci di quotidianità, che vivono spesso solo di frammenti mnestici legati alle ideologizzazioni del passato. Alla fine, oggi, come allora, traspare solo l’apoteosi della violenza, che negli anni d’oro delle ideologie, era solo giustificata culturalmente. L’intellettuale “neo-neutralista” e pacifista sublima così il suo sentimento nella trasfigurazione del martirio di Terry, la ragazza “poetessa”, cultrice, che tenta di ricucire i profondi strappi della società. Non dimentichiamo d'altronde che molti intellettuali del passato avevano giustificato la violenza e non solo i futuristi e D’Annunzio, ma anche quelli della sinistra storica. Perché è così: Eros e Thanatos, l’amore e la violenza ci sono, e vengono spesso divinizzati proprio dagli intellettuali. L’eco dell’intellettuale ha poi una influenza notevole sulla società, anche oggi, ove invece pare tutto svanito nelle nebbie della baumaniana palude sociale.
Vincenzo Capodiferro
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